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Intervista di Chiara Moncada all'Onorevole Jean Léonard Touadi

I combattimenti delle ultime settimane nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), tra le milizie ribelli e l'esercito governativo, hanno riacceso il dibattito sulla stampa nostrana e internazionale circa la natura del conflitto. C'è chi considera gli scontri di natura etnica, chi invece ritiene che a giocare un ruolo decisivo siano le imponenti risorse minerarie di cui il paese è ricco e gli interessi economici che derivano dalla loro estrazione. Ricordiamo che la RDC ha enormi riserve di diamanti, coltan (il minerale necessario per la produzione di molti prodotti elettronici, telefonia in primis), oro, cassiterite, uranio e legname pregiato. Abbiamo chiesto all'onorevole Jean Léonard Touadi cosa ne pensa.
"Non si tratta di conflitti etnici. Questa spiegazione è superficiale e, aggiungerei, di comodo. Non ne considera obiettivamente il contesto attuale, non spiega la complessità delle cause all'origine della guerra, né le motivazioni degli attori. Vero è che questi ultimi possono essere "etnici", ma le ragioni della guerra e gli interessi che ne stanno alla base dicono altro. Il tema della commercializzazione di armi dà la misura di quanto siano pesanti le influenze esterne. È evidente che il popolo congolese è lasciato totalmente a sé stesso nell'affrontare la guerra, ma non si può dire lo stesso circa le cause che hanno determinato e determinano tuttora il conflitto: molti sono, infatti, i paesi coinvolti nelle radici di un conflitto mai totalmente superato che continua a creare terrore, morte, rifugiati, orfani e bambini soldato. Circa l'implicazione di alcune multinazionali, responsabili di usare ogni mezzo al fine di accaparrarsi le risorse per poi trarne enormi profitti, vorrei ricordare, ad esempio, che grazie a una campagna molto dura e pressante è stato imposto alle aziende produttrici di diamanti la firma del Protocollo di Kimberley, che dovrebbe garantire al compratore che i diamanti non provengono da paesi in guerra. Il grosso problema, come è stato verificato, è che su cento commercianti di pietre preziosi solo due richiedono al fornitore questo certificato. Facile, dunque, dedurre quanto il business dei diamanti sia difficile da 'risanare'. E così anche per le altre materie prime. Sono necessarie regole più rigide e, sicuramente, la realizzazione di grandi campagne di sensibilizzazione capaci di intaccare l'immagine di quelle multinazionali che vivono e prosperano sulla base, appunto, del proprio marchio".
Quale dovrebbe essere il ruolo della comunità internazionale? Che cosa si attende dall'Onu?
"La missione Onu in Congo è stata senza dubbio un enorme fallimento, anche alla luce del fatto che quella nella RDC è l'intervento di peacekeeping più imponente mai organizzato. L'invio di un contingente di 17 mila soldati dispiegati sul territorio congolese, e concentrati nelle zone più a rischio e interessate dal conflitto (la regione nord orientale del Kivu, ndr), non ha rappresentato la giusta e sperata risposta alla ferocia e alla complessità del conflitto.
Davanti al riconosciuto fallimento dei due importanti obiettivi e compiti di cui la missione era stata investita, ovvero favorire la normalizzazione e aiutare il processo di pace da una parte, e garantire protezione e sostegno alla popolazione civile dall'altra, c'è da domandarsi quanto e quale sia stato il reale sforzo messo in atto per risolvere, o quanto meno attenuare, il conflitto. Ma non finisce qui. Oltre al fallimento di intenti della missione, vi è da aggiungere lo scandalo in cui sono stati coinvolti alcuni militari ONU, accusati di aver stuprato e umiliato quelle stesse donne che avrebbero dovuto proteggere e aiutare. È dunque necessario, alla luce dell'esperienza fatta, ridefinire il mandato, garantire una quantità maggiore di mezzi e di risorse, con l'obiettivo di fronteggiare una situazione che rischia sempre più di degenerare in una catastrofe, di sfociare in un nuovo e ripetuto genocidio. Ora, è necessario concentrarsi sulla popolazione civile, garantire sostegno, organizzare un efficiente corridoio umanitario anche mediante il lavoro dei Caschi blu. Ritengo di assoluta priorità la convocazione di una conferenza internazionale che veda la partecipazione di Kigali, Kinshasa e Kampala, che riunisca dunque attorno ad un tavolo l'attenzione e l'impegno alla pace dei tre principali protagonisti di questo orrendo vortice di terrore, RDC, Ruanda e Uganda. Ritengo altresì che la suddetta conferenza internazionale debba essere vincolante circa gli assetti regionali e il disarmo delle milizie".
Come vede il futuro nella Repubblica Democratica del Congo?
"Io sono e voglio rimanere ottimista. Dobbiamo trovare meccanismi coerenti e capaci di rispondere in maniera ferma e positiva al momento che segue gli accordi di pace. Non basta il solo accordo, bisogna definire le strategie e i programmi di reinserimento degli ex soldati, bisogna studiare e pensare a come favorire il progresso economico, costruire e risanare le infrastrutture. Per arrivare a questo è necessario spezzare il legame e la forte connessione di tre elementi che continuano ad alimentarsi a vicenda creando un vortice di terrore difficile da fermare: lo sfruttamento delle materie prime, la vendita di armi e il conflitto. Sono consapevole della complessità del contesto, ma ritengo sia ancora possibile arrivare alla pace". Chiara Moncada